martedì 1 marzo 2016

Utero in affitto, parliamone


Il dibattito sollevato dal Ddl Cirinnà sulle Unioni Civili e dalla stepchild adoption ha concentrato l'attenzione dell'opinione pubblica anche sul controverso tema dell'utero in affitto, la pratica che permette a una coppia sterile (o gay) di diventare genitori grazie a una madre surrogata.
Un tema tornato prepotentemente d'attualità dopo la notizia della nascita, tramite tale pratica, del figlio di Nichi Vendola e del suo compagno.

Ma esattamente di che cosa stiamo parlando?
La surrogazione di maternità, talvolta denominata "maternità assistita" o "utero in affitto", è la pratica che permette a una coppia eterosessuale sterile (o omosessuale, o single, laddove permesso) di diventare genitori grazie ad una donna che si fa carico della gravidanza fino al parto; seme e ovuli dei richiedenti (o, laddove è necessario, di donatori e donatrici) vengono fecondati in vitro e l’embrione viene poi impiantato nell’utero in affitto: la madre surrogata partorirà ma in nessun caso sarà riconosciuta come madre.
In Italia l'utero in affitto costituisce una pratica medica vietata.

Personalmente ritengo che la pratica dell'utero in affitto sia una modalità per diventare "genitori" profondamente arrogante ed immorale; sia perché si presta allo sfruttamento del corpo della donna, sia per il fatto che già esistono altri modi per una coppia di avere figli, ad esempio l'adozione.
Parliamone.


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